mercoledì 4 gennaio 2017

Lavoro e felicità ai tempi del Jobs Act




Articolo da Sbilanciamoci.info 

Il lavoro, specie in tempi di crisi, è il principale asse intorno a cui gravitano aspirazioni e desideri dei soggetti. Quale nesso esiste oggi tra sfera occupazionale e felicità?

L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. A rileggerlo oggi, il primo articolo della Costituzione italiana fa una certa impressione. Accusati da più parti di anacronismo, la costituzione e il diritto del lavoro italiani sono recentemente diventati i fronti di due battaglie politiche destinate a lanciare un messaggio chiaro al Parlamento. Su uno di questi fronti l’Italia si è già espressa lo scorso 4 dicembre, quando è stata bocciata la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi. L’altro fronte su cui potrebbe essere chiamata a esprimersi riguarda proprio il lavoro, qualora l’11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale dovesse approvare i quesiti referendari formulati dalla CGIL per l’abolizione dei voucher, la reintroduzione della responsabilità sociale delle aziende appaltatrici e di quelle appaltanti in caso di violazioni ai danni dei lavoratori e, infine, la reintroduzione dell’articolo 18 e quindi del dovere da parte del datore di lavoro di reintegrare il lavoratore licenziato senza giusta causa anziché di corrispondergli un’indennità monetaria come previsto dal Jobs Act (per le aziende con più di 5 dipendenti).

Il no al referendum sulla riforma costituzionale ha già prodotto effetti politici di una certa portata, come dimostra la caduta del governo Renzi; l’esecutivo che gli è subentrato ha già legato il suo destino all’esito del secondo appuntamento referendario, come dimostrano le parole di uno dei ministri usciti indenni dalla transizione da un governo a un altro. Poletti ha espresso la disponibilità del governo a comprimere i tempi della stesura e dell’approvazione di una nuova legge elettorale per andare a votare il prima possibile, pur di posticipare la data di un referendum che rischierebbe di abbattere un altro dei cavalli di battaglia del governo Renzi (come previsto dalla legge per evitare la sovrapposizione di due campagne elettorali).

In attesa di assistere all’evoluzione di questo scenario, una certezza può darsi ormai per acquisita: chi aveva rimproverato la politica di non occuparsi più del “paese reale” si stava sbagliando, e non di poco. Lungi dall’essere disertato o trascurato, il mondo del lavoro e gli annessi diritti e doveri sono al centro delle preoccupazioni della politica italiana. Il problema non è il disinteresse o l’immobilismo, ma – al netto degli innegabili benefici di chi si è visto trasformare un contratto a termine in uno a tempo indeterminato, acquisendo maggiori tutele1 – la trasformazione in senso regressivo del mondo del lavoro e degli annessi diritti e doveri, come dimostra l’appropriazione indebita di un lemma come quello della “rivoluzione permanente” da parte di forze politiche sedicenti riformiste per giustificare processi quali la deresponsabilizzazione delle aziende nei confronti dei lavoratori, la flessibilizzazione del mercato del lavoro e la precarizzazione esistenziale di chi non può fare a meno di lavorare per vivere.

Descrivere il mondo del lavoro e, per di più, il suo eventuale nesso con la felicità può quindi apparire un’impresa impossibile, soprattutto in tempi di crisi. La difficoltà non è dovuta soltanto al tentativo di far interagire un fenomeno sociale statisticamente misurabile con un sentimento camaleontico e insondabile come la felicità. L’impresa è resa ancora più ardua dall’enigmaticità costitutiva di un fenomeno orfano dello storico compromesso fra capitale e lavoro siglato nei Welfare State democratici tra la fine della seconda guerra mondiale e la fine degli anni Settanta. A conferma della nebulosità che pervade oggi il mondo del lavoro basti citare le guerre dei numeri combattute in Italia ogniqualvolta la pubblicazione di statistiche rischi di confutare le profezie di ottimisti e pessimisti di professione. In un’epoca che sa ricavare le uniche certezze che la riguardano dall’avvenuto superamento di quelle che l’anno preceduta – da qui una serie infinita di neologismi mobilitati per dare un nome al presente e addomesticare l’attuale senso di disorientamento epocale, dalla postdemocrazia al postfordismo, passando attraverso il postindustriale – il lavoro resta il principale asse di rotazione attorno a cui gravitano i desideri e le aspirazioni dei soggetti.


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Articolo tratto interamente da Sbilanciamoci.info

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