giovedì 23 luglio 2015

Una sentenza vergognosa

Fortezza da basso, firenze, lato piazzale caduti nei lager 02
 
Articolo da Il Corsaro - l'altra informazione

Di qualche giorno fa l’agghiacciante notizia della sentenza che assolve un gruppo di sei ragazzi dall’accusa di “stupro di gruppo”, una violenza avvenuta sette anni fa a Firenze nei pressi di Fortezza da Basso nei confronti di una ragazza allora ventitreenne.

Una sentenza vergognosa, che andrebbe letta ad alta voce per scandire ogni frase che trasforma il capo d’accusa nei confronti degli stupratori in capo d’accusa nei confronti della vittima: si parla di “vita non lineare” in quanto la ragazza “ha avuto due rapporti occasionali, un rapporto di convivenza e uno omosessuale”, si parla inoltre di “iniziativa di gruppo comunque non ostacolata” in quanto si presuppone che i ragazzi possano aver “mal interpretato” la disponibilità della ragazza, me che poi non vi sia stata “alcuna cesura apprezzabile tra il precedente consenso e il presunto dissenso della ragazza, che era poi rimasta ‘in balia’ del gruppo”.
 
Qualche giorno fa la ragazza vittima della violenza ha scritto pubblicamente una lettera che è un vero e proprio manifesto di lotta, di una donna sola contro una sentenza che la umilia oltre ad essere ingiusta.
 
In un passaggio fondamentale della lettera (qui la versione integrale) la ragazza dice:
“Ebbene sì, se per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, mille testimonianze oltre alla tua, le prove del dna, ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se giri film o fai teatro, se hai fatto della body art, se non sei un tipo casa e chiesa e non ti periti di scendere in piazza e lottare per i tuoi diritti, se insomma sei una donna non conforme, non puoi essere creduta. Dato che non hai passato gli anni dell’adolescenza e della giovinezza in ginocchio sui ceci con la gonna alle caviglie e lo sguardo basso, cosa vuoi aspettarti, che qualcuno creda a te, vittima di violenza?”
 
Sembra di essere tornati nel 1979, al documentario “Processo per stupro” di Loredana Rotondo, nel quale l’avvocatessa della vittima (una ragazza di nome Fiorella) in una passaggio molto profondo dell’arringa afferma:
“E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un'imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire «non è una puttana». Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l'accusatore di un certo modo di fare processi per violenza. [...]”
 
Dal 1979 sono passati 36 anni e, a differenza di allora, il processo di Fortezza da Basso si chiude con una sentenza di assoluzione nei confronti degli stupratori, con delle motivazioni intrise di quel moralismo e maschilismo che l’avvocatessa di “Processo per stupro” denunciava per la prima volta, in un documentario televisivo seguito allora da circa tre milioni di telespettatori.


 

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