martedì 30 settembre 2014

Hong Kong: ecco alcune riflessioni

Unbrella Revolution -Hong Kong

Articolo da China Files

Qualche riflessione sulle proteste in corso a Hong Kong: come si sono organizzati i manifestanti, quali le rivendicazioni di massima, cosa pensa e quali potrebbero essere le risposte di Pechino. E da che parte sta, chi a a Hong Kong fa girare i soldi.

Che sia per il sole, o per le piogge improvvise causate dal clima volubile dell’ex colonia, a Hong Kong è un classico uscire di casa, portandosi sempre un ombrello. Se poi scatta la protesta e bisogna difendersi dagli spray urticanti o dai manganelli della polizia, ecco che l’ombrello diventa ben presto il simbolo della mobilitazione. I loghi dell’«umbrella revolution» cominciano a spuntare on line, a getto continuo. Ne ha lanciato uno anche Ai Weiwei, su Twitter.

Ombrelli che ricalcano la bandiera di Hong Kong e tengono a debita distanza alcune stelline: un riferimento neanche troppo velato alla Cina. Nell’era della condivisione forzata sui social network, ogni protesta ha bisogno del suo brand e gli iper tecnologizzati studenti - e liberi di informarsi, poiché ad Hong Kong non vige la censura on line di Pechino - dell’ex colonia britannica lo sanno bene. Hanno visto on line le rivolte e le primavere arabe, hanno compreso l’importanza di attirare l’attenzione della stampa internazionale.

E hanno saputo muoversi a proprio agio sulle strade, fronteggiare la polizia, diramare comunicati piuttosto chiari circa le proprie richieste e infine, una volta calata la tensione, dormire per terra e ripulire la zona, poco prima di ricominciare le manifestazioni. Hanno conquistato un pubblico occidentale desideroso di proiettarsi in altri mondi per trovare un po’ di vitalità e hanno saputo tenere un comportamento rigoroso, nonostante agli organizzatori sia scappata ben presto di mano l’intera mobilitazione. Mentre scriviamo la notte cala a Hong Kong, nugoli di manifestanti e poliziotti dormiranno un’altra notte di strana vicinanza, dopo il confronto per strada (meno cruento rispetto al week end).

È una questione locale, per ora. Pechino non è intervenuta, ma ha fatto ampiamente capire che lo spazio di manovra sarà sottile, quasi nullo. E oggi si ricomincia, con le scuole, banche e negozi ancora chiusi. Uno dei mercati finanziari più importanti al mondo è dunque bloccato: perché?

La composizione della protesta
Cosa vogliono gli studenti? E soprattutto chi era in piazza in questi giorni e cosa potrebbe succedere nelle prossime ore? Occupy Central è un movimento nato tempo fa. Ha una natura studentesca e ha saputo trovare l’appoggio anche di attivisti più anziani (alcuni hanno partecipato anche alle proteste in Cina nell’89) e degli insegnanti. Una mobilitazione che ha un obiettivo ben preciso: ottenere per le elezioni del 2017 un vero suffragio universale. Si tratta di una richiesta che ha allargato ben presto il fronte della protesta, con rappresentanti della classe media di Hong Kong, da sempre ostili nei confronti di Pechino, a popolare le fila dei manifestanti.

Pechino ha infatti promesso il suffragio universale, per l’elezione del chief executive (il primo ministro, attualmente votato da un comitato di 1200 grandi elettori) nel 2017, ma si potrà votare solo una rosa ristretta di nomi, scelti proprio da Pechino. Per il Partito comunista è il massimo della concessione possibile: elezioni sì, ma di chi viene deciso dalla Cina.[/do] Su questa protesta si è innervato anche il tradizionale sentimento anti cinese della popolazione di Hong Kong, ormai insofferente all’atteggiamento dei tanti ricconi cinesi (definiti «cavallette» dalla stampa locale) che arrivano sull’isola a comprare, disturbare e muoversi nel consueto modo, poco educato secondo certi canoni «british» ancora presenti nell’isola.

Ma non è tutto: nella giornata di domenica ad aggiungersi agli studenti sono arrivati anche i lavoratori. Alcuni sono in sciopero, come quelli di una fabbrica della Coca Cola, altri fanno parte dei battaglieri sindacati anti Pechino. Al momento le loro rivendicazioni non hanno spostato l’asse tutto politico (una richiesta di generica «democrazia»), ma è chiaro che sotto la protesta di un movimento composito e complesso, covano anche le gravi ingiustizie sociali create dal fatto che Hong Kong è il principale punto di ingresso dei capitali in Cina.

Un periplo di affari e consuetudini che ha portato a gentrification, sfruttamento e profonde ineguaglianze. Cosa potrebbe succedere ora, con le acque più calme rispetto alla giornata di domenica? Si attendono nuove mobilitazioni e all’orizzonte si profila già un appuntamento particolarmente importante: il primo ottobre, il giorno in cui la Cina festeggia la nascita della Repubblica Popolare. Ad ora la certezza è che i tradizionali fuochi d’artificio di «festa» sono stati aboliti. Sarà un test per tutti: studenti, lavoratori, popolazione di Hong Kong e naturalmente, Pechino.

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Fonte: China Files

Autore: Simone Pieranni

Licenza: Licenza Creative Commons

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Articolo tratto interamente da China Files

Photo credit bluuepanda caricata su Flickr - licenza foto: Creative Commons

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